PREMESSA – Il diritto di iniziativa economica non è meno importante del diritto di parola, di associazione, di voto etc.; può essere declinato come diritto di ricerca della propria felicità (Cost. americana). L’esercizio di tale diritto non comporta alcun aggravio per il bilancio dello Stato. Rendendo libera l’attività economica nella fase di avvio (pur nel rispetto della normativa attuale che regola l’esercizio in corso), si incrementa la ricchezza di tutti a costo zero. La riforma vale da sé un punto di PIL.
1 – PROPOSTA: eliminazione di tutti gli ostacoli normativi alla libera iniziativa economica, mediante conversione di tutti i procedimenti amministrativi di autorizzazione preventiva (nulla osta, licenze etc.) in procedimenti di controllo contestuale e successivo, previa comunicazione del privato interessato (con l’eccezione delle attività in materia di armi ed esplosivi). La proposta non comporta il venir meno delle regole a tutela della salute pubblica, dei requisiti tecnici di sicurezza e dei controlli di qualità attualmente vigenti.
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PREMESSA – La possibilità di disporre dei frutti del proprio lavoro assicura la libertà di scegliere i propri fini, ossia la libertà di organizzare la propria vita; quanto viene sottratto a questa possibilità, tanto viene sottratto alla libertà. L’eccessiva pressione fiscale è immorale, in quanto liberticida, prim’ancora che controproducente. Il fisco vorace sottrae libertà ai privati e non realizza il bene pubblico.
2 – PROPOSTA: riduzione delle aliquote fiscali (per le persone fisiche e le imprese) e contestuale contrazione della spesa pubblica. E’ scientificamente acclarato (curva di Laffer) che l’aumento della pressione fiscale non comporta l’automatico e corrispondente aumento delle entrate fiscali, mentre sempre e comunque c’è connessine tra la riduzione della pressione fiscale e l’aumento delle entrate (connessione dimostrata dalla scienza economica e dall’esperienza storica, per es. dei governi Reagan e Tatcher). L’ablazione fiscale non deve superare 1/3 del reddito della persona.
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PREMESSA – L’autonomia contrattuale dei privati è essenziale per lo sviluppo economico; frenare l’una significa frenare l’altro. Nei rapporti dl lavoro vige in Italia la regola – derivata dal regime corporativo dei fasci – secondo cui l’accordo sottoscritto dai sindacati vincola anche le imprese e i dipendenti non iscritti ad alcun sindacato. Ciò viola il principio elementare di rappresentatività, valido in tutto il consesso civile.
3 – PROPOSTA: libertà contrattuale nei rapporti di lavoro, che si estrinseca sia nella possibilità di stipulare contratti collettivi decentrati, di livello locale e aziendale, sia nella possibilità di stipulare contratti individuali, migliorativi rispetto ai contratti collettivi. In quest’ottica, il livello nazionale della normazione deve salvaguardare solo le condizioni minime e basilari delle prerogative delle parti; la responsabilità della gestione dell’impresa deve appartenere esclusivamente alla direzione aziendale, senza alcuna interferenza sindacale.
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PREMESSA – I popoli anglosassoni sono consapevoli che una delle condizioni basilari dello sviluppo economico-sociale è il rule of law, traducibile come certezza del diritto e – in primo luogo – come sicurezza del diritto di proprietà (immobiliare, mobiliare, intellettuale). Lo scambio, alla base dell’economia di mercato, presuppone la certezza dei diritti che ne formano l’oggetto, poiché evidentemente il diritto controverso non può essere trasferito e scambiato. In sintesi, un diritto controverso è un “non-diritto”, giacché nessuna facoltà inerente al diritto può essere esercitata, sicché la lungaggine dei processi, generando incertezza del diritto, deprime la propensione a investire. Da ciò deriva l’equazione: più certezza del diritto, più investimenti. La certezza dei traffici giuridici è un preziosissimo bene immateriale a costo zero, che da solo equivale a 2 punti di PIL.
4 – PROPOSTA: drastica riduzione dei tempi delle decisioni giudiziarie, per dirimere le controversie civili. Nel breve periodo, è necessario un provvedimento-ponte per azzerare il contenzioso giudiziario in corso; è necessario altresì dare esecuzione immediata ai provvedimenti giudiziari definitivi, anche mediante forme controllate di esecuzione privata. Ciò non deve stupire: dare esecuzione a una sentenza pronunciata “nel nome del popolo italiano” significa attuare la volontà del “popolo italiano”. È necessaria una legge che dia sicurezza alla proprietà, che possa scongiurare casi “ILVA” e similari e preveda la confisca nei soli casi di responsabilità dolosa (accertata definitivamente) per reati particolarmente gravi.
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PREMESSA – In campo economico, la possibilità di decidere con prontezza, inventiva e accettazione del rischio, è condizione essenziale del successo. Ovviamente ciò è incompatibile con i protocolli burocratici dello Stato e delle sue articolazioni pubbliche. Ne deriva che, nelle attività economiche, l’unico ufficio dello Stato, socialmente utile, consiste nel “controllo di qualità”. La res publica deve indicare il quadro di riferimento, regolare e controllare, ma non gestire attività economiche; deve essere arbitro del “gioco”, non “giocatore” in campo. Al contempo, lo Stato non deve, in alcun modo, sovvenzionare i privati, con criteri che si sovrappongono alle scelte libere del mercato; deve solo assicurare le condizioni ottimali, uguali per tutti, per lo svolgimento dell’attività d’impresa. Deve essere il mercato a selezionare l’impresa virtuosa, non il “programmatore” pubblico.
5 – PROPOSTE: a) eliminazione di tutte le figure di Ente pubblico-imprenditore, a tutti i livelli (con limitatissime eccezioni nel campo energetico e degli armamenti strategici). La res publica deve regolare e controllare l’attività economica e l’erogazione dei servizi di interesse pubblico, non gestire direttamente né l’una né l’altra. Ciò vale per le imprese gestite dallo Stato, ma anche per le municipalizzate. Gli enti pubblici devono decidere e controllare gli standards di qualità dei servizi erogati. b) Al contempo, l’attività economica dei privati non deve gravare sulla collettività; pertanto è necessario eliminare tutti i finanziamenti “a fondo perduto” e tutte le innumerevoli “sovvenzioni”; la spesa a ciò destinata deve essere utilizzata per ridurre, in maniera imparziale, le tasse alle imprese.
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PREMESSA – La pluralità dell’offerta e la concorrenza tra gli operatori economici non equivale all’impossibile “paradiso sulla terra”, ma si avvicina in ogni caso al “meno peggio” concretamente possibile. La facoltà del consumatore di scegliere A piuttosto che B induce sia A che B a offrire il meglio. Ciò è tanto evidente che non vale la pena dilungarsi. Ebbene, nei servizi sanitari, scolastici e previdenziali bisogna introdurre elementi di vera concorrenza tra una pluralità di offerte di mercato, pubbliche e private, dando la possibilità all’utente-consumatore di scegliere A piuttosto che B.
6 – PROPOSTA: Nel campo dell’istruzione, non è tollerabile il monopolio statalistico dei “programmi ministeriali”. Per rendere effettivi la libertà dei docenti e il diritto di scelta dei discenti, le famiglie dovrebbero avere un bonus da utilizzare presso l’istituto di gradimento. L’importo del bonus sarebbe finanziato dal minore esborso pubblico per intervento diretto. Analogo criterio, con le opportune differenze, si potrebbe utilizzare nel settore sanitario. Nel settore previdenziale, si deve eliminare il nefasto monopolio INPS e liberalizzare la previdenza privata.
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PREMESSA – La sicurezza è il presupposto della libertà. Lo Stato che non difende i propri confini abdica al proprio compito fondamentale; rinuncia alla prima e più importante prerogativa della sovranità. Lo Stato italiano che tollera, agevola e incoraggia l’immigrazione incontrollata e clandestina, non fa altro che tollerare, agevolare e incoraggiare l’illegalità. Bisogna poi intendersi sul termine multiculturalismo. Il principio basilare del liberalismo è la tolleranza; ma bisogna essere tolleranti coi tolleranti; tollerare l’intolleranza significa consegnarsi al dispotismo. L’esatto opposto della libertà!
7 – PROPOSTE: Lotta ai traffico di migranti con gli strumenti dell’antimafia, giacché le fila sono tirate indubbiamente dalla criminalità organizzata. A maggior ragione la normativa antimafia deve essere utilizzata nei confronti degli aderenti e fiancheggiatori dei gruppi terroristici internazionali (per costoro non vale il “concorso esterno”?). Quanto alla cittadinanza italiana, deve essere chiaro che darla gratis significa svilirla. La “cittadinanza italiana” deve essere meritata e chi vi aspira deve dimostrare (ovviamente dopo la nascita!) di essersi integrato.
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PREMESSA – La spesa pubblica è per sua natura “disproduttiva”, giacché non è funzionale a produrre un quid novi, bensì a conservare lo status quo ante (tutela della pacifica convivenza, dell’ordine pubblico e della sicurezza esterna, esazione fiscale, amministrazione della giustizia etc.). Ovviamente tale spesa “disproduttiva” è socialmente utile; sempreché sia diretta a realizzare gli scopi fondamentali della res publica. Quando, invece, la spesa pubblica è utilizzata per gestire direttamente attività economiche, ossia realizzare ciò che le aziende private farebbero meglio, oppure ha la funzione di “sostenere”, “incentivare”, “favorire” gli uni piuttosto che gli altri, in base a opinabili criteri di programmazione centralistica, oltre che “disproduttiva” diventa socialmente dannosa. Orbene, in Italia la spesa pubblica assorbe più della metà dell’intero PIL; ciò significa due cose: a) che la “disproduttività” sopravanza la “produttività”; b) che sono finanziati interventi di programmazione economica, necessariamente selettivi, a danno della paritaria condizione di mercato. Il bisturi deve essere utilizzato appunto per ridurre questa droga del mercato, la quale ovviamente è vestita dei panni del buonismo (dal momento che lo Stato è buono per definizione, non diversamente dallo Stato “etico” di mussoliniana memoria).
8 – PROPOSTA: nel bilancio ufficiale dello Stato italiano, c’è una partita di spesa tanto ingente, quanto “sibillina”, giammai chiarita da ministri e codazzi vari, misteriosamente sfuggita pure ai grandi commentatori e ai solerti “cronisti d’assalto” della nostra stampa, quasi interamente omologata al “pensiero unico”. Si tratta di ben 73 miliardi di “spese varie”! Ebbene, poiché non c’è motivo di nascondere il giusto titolo per le spese di evidente interesse pubblico, si deve supporre che per questi “bruscolini” (73 miliardi) manchi il giusto tiolo. Ebbene si può cominciare da lì per ridurre l’ammontare della spesa pubblica; certamente ne risentirebbe la tasca di qualcuno, ma non la produttività del sistema Italia.
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PREMESSA – Per finanziare la spesa pubblica fuori controllo, lo Stato italiano è costretto a indebitarsi. Se i titoli del debito pubblico vengono ceduti a operatori stranieri, viene ceduta al contempo una quota della sovranità italiana. Deve essere perseguito l’obiettivo di “italianizzare” il debito pubblico. I risparmiatori italiani potrebbero trovare conveniente acquistare titoli di Stato, opportunamente garantiti, tanto più se “defiscalizzati”.
9 – PROPOSTA: Emissione di titoli di debito pubblico garantiti del patrimonio disponibile dello Stato italiano. La negoziazione dei titoli dovrebbe essere riservata esclusivamente ai cittadini italiani e agli operatori nazionali.
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PREMESSA – L’Unione Europea “germanocentrica” vincola l’Italia al rispetto di “protocolli” stringenti, pensati dai burocrati di Bruxelles in base a modelli e parametri nordeuropei. Le specificità italiane – spesso nicchie di “eccellenza” – vengono sacrificate in nome di un’omologazione astratta e prefigurata. I governi italiani, supinamente prostrati in adorazione della “Dea Europa”, hanno accettato tutte le possibili restrizioni della sovranità italiana, fino al punto di subordinare il vigore della “Costituzione più bella del mondo” agli atti normativi dell’UE. Siamo gli unici ad averlo fatto (grazie al governo Prodi); tutti gli altri Stati si sono ben guardati dal rinunciare al proprio controllo di legittimità costituzionale sugli atti normativi europei. I parametri di Maastrichit e del c.d. Fiscal Compact hanno effetti vincolanti sull’Italia, ma non pare che abbiano gli stessi effetti vincolanti sulla Germania, la quale può tranquillamente superare il limite (teoricamente invalicabile) del 6 % di attivo della bilancia commerciale; i Lander tedeschi sono esclusi dal calcolo del disavanzo del bilancio pubblico, mentre non sono escluse le regioni italiane; analogamente, i finanziamenti dei Lander alle banche e alle aziende tedesche non sono considerati “aiuti di Stato”, mentre sono considerati tali, tutti i trasferimenti indiretti di risorse pubbliche italiane. Il “pareggio” di bilancio, imposto dai trattati europei, è un obiettivo da perseguire, ma non può essere un limite costante di ogni esercizio annuale, valido sempre e comunque; nel breve periodo è tollerabile un disavanzo che vada a finanziare la riduzione della pressione fiscale (né Reagan né la Tatcher avrebbero potuto avviare le loro politiche economiche con un vincolo di pareggio costante e immutabile anno per anno).
10 – PROPOSTA: Prima l’Italia. Dobbiamo ritrovare il nostro orgoglio nazionale, rinegoziando il c.d. Fiscal Compact; abbandonando la fallimentare politica energetica europea delle fonti rinnovabili (decisa in nome di un “cambiamento climatico”, la cui natura antropica è un “dogma di fede”, indimostrato e indimostrabile); esigendo una partecipazione europea ai costi economici e umani per il contenimento dell’immigrazione; rivendicando l’autonomia decisionale nella politica economica. Il pareggio di bilancio non può essere ottenuto in concomitanza di un sensibile decremento della pressione fiscale; ne deriva che il governo italiano non può accettare il vincolo del pareggio nel breve periodo (anno per anno). Deve perseguire la riduzione della spesa e l’aumento delle entrate con la riduzione fiscale e non può accettare imposizioni europee di “pareggio” hic et nunc, ossia in un orizzonte temporale troppo limitato.