Autonomie: divisivo o diversivo?

Si apre un altro fronte difficile nel centrodestra: quello delle autonomie. Un tema assai lontano da ipotesi secessioniste, ma ancora percepito come divisivo tra due Italie. In realtà domande di autonomia sono state presentate da tutte le regioni – incluso quelle rosse – meno, solo, il Molise. Peraltro Marsilio, appena eletto in Abruzzo, grazie al bulldozer elettorale della Lega, si é affrettato ad annunciare la sua contrarietà a progetti di devolution che sottraggano risorse al Sud. Sta riguadagnando vigore la vecchia narrativa del Nord sfruttatore del Meridione. Della deindustrializzazione dell’ex Regno borbonico, nell’epoca post-unitaria, ad opera della concorrenza sleale del Piemonte industriale. Della prima ferrovia nella Napoli borbonica, unica nella penisola, ma un inutile orpello, applicando, all’epoca, gli standard, in voga oggi tra i M5S, delle analisi costi-benefici. In realtà un incubatore di nuove tecnologie e un’avanguardia dei progetti di riconversione industriale in Italia. E si torna a dibattere sulle disparità tra i moderni servizi ospedalieri nel Nord e lo sfacelo di quelli del Sud. Quasi ignorando che la Sanità é già regionalizzata. E dimenticando gli scandali nel settore, onnipresenti, ma più frequenti sotto che sopra. E così il dibattito, più che divisivo in senso geografico, lo diventa in senso politico. Anche all’interno degli stessi schieramenti. A sinistra, a un Chiamparino che si spende per le autonomie perché “non sottraggono risorse al Sud” si contrappone uno Zingaretti (a capo di una tra le regioni con il più alto prelievo fiscale pro capite…) che dice no “a secessioni mascherate”. Mentre il loro “nobile” comune genitore, Napolitano, dichiara che “autonomia significa responsabilità”. Molti innamorati della “Costituzione più bella del mondo” sembrano aver perso affezione e memoria del suo articolo 5 (e 116-117-119…).In altro campo, i Cinquestelle, spaesati su di un tema che non evoca troppa passione tra i propri iscritti, probabilmente, non iscrivono le autonomie tra le pregiudiziali non negoziabili. Ma sanno che, quando prendono una chiara presa di posizione a favore o contro (come sperimentato nei sondaggi e nelle urne), acquistano consensi da una parte e li perdono dall’altra. Quindi, fanno quello che sanno fare meglio: temporeggiano.A destra non va meglio: sanguignamente contrario il partito della Meloni, favorevole ma con distinguo Forza Italia, che registra il no al regionalismo differenziato di qualche ex ministro. Mentre la Lega…La Lega si trova forse nella situazione più pericolosamente contraddittoria: tra il Veneto, trainato dall’impossibile sogno secessionista di Zaia, da un lato e, dall’altro, Salvini che, forte dell’avanzata al Sud, non può rinunciare alla coerenza unitaria del suo “prima gli italiani”. Pena il riflusso dei consensi verso l’alleato di ieri e competitore nella leadership di centro destra, Berlusconi. É onestamente difficile non trovarsi d’accordo con le ragioni di chi invoca, sulla base di quanto previsto dalla Costituzione, decentramento e autonomia nelle materie di legislazione concorrente e nelle altre ivi previste  (organizzazione giudici di pace, tutela ambientale e culturale, e, parzialmente, istruzione) per promuovere maggiore efficienza e senso di responsabilità di chi amministra il territorio.  Non si tratta di creare altre Regioni a Statuto Speciale ma trasferire il controllo della spesa pubblica più vicino al cittadino utilizzatore dei servizi. Le competenze esclusive dello Stato non sono poste in discussione. Ovviamente l’autonomia comporta il finanziamento delle nuove competenze regionali, attraverso il trasferimento delle risorse, in base ai costi storici sostenuti per ogni servizio dall’amministrazione centrale, per lo specifico territorio. Mentre, a tendere, il trasferimento centrale,  si allineerà ai costi standard per il tipo di servizi erogati (orientato al costo migliore degli enti più virtuosi), garantito comunque, da meccanismi di perequazione che tengano conto delle differenze infrastrutturali e  socio-economiche del territorio. Chi spenderà di più rispetto al livello standard dovrà ricorrere alla propria leva impositiva locale per recuperare le risorse necessarie. Del maggior prelievo o della carenza dei servizi erogati, gli amministratori risponderanno al proprio elettorato. Analogamente i “risparmi” delle amministrazioni virtuose potranno essere reinvestiti nel territorio. In altre parole, il progetto autonomista introdurrà il criterio del merito, scoraggiando gli sprechi e incentivando la buona amministrazione senza intaccare lo spirito unitario e solidaristico, che dovrà tenere conto degli ostacoli infrastrutturali e socioeconomici e delle peculiarità di ogni territorio. Sottraendo, invece, forza e risorse all’attuale sistema che, di inefficienza e incapacità gestionale, si nutre e prospera. Nel vocabolario inglese c’è una bella espressione, non traducibile con una parola sola: “accountability”. Ovvero: la responsabilità incondizionata degli amministratori della cosa pubblica di render conto dell’uso delle risorse finanziarie sia sotto il profilo della regolarità formale sia sotto quello dell’efficacia dei suoi impieghi.

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