Banche, corruzione e crisi: niente di nuovo sotto il sole…

Il 20 dicembre 1892 Napoleone Colajanni propone un’inchiesta parlamentare sulla base dei risultati dell’indagine Alvisi – Biagini sulle banche di emissione, avviata segretamente nel giugno 1889, che rileva le gravi irregolarità e gli ammanchi della Banca Romana (ex banca dello Stato Pontificio) e rivela l’implicazione di personaggi politici di primo piano.
Viene così alla luce quello che passerà alla Storia come “lo scandalo della Banca Romana”, che travolge (momentaneamente) Crispi e Giolitti, il cui governo cade per questo alla fine del 1893. Il sistema plurale degli Istituti di emissione (erano sei, allora) va in tilt, crollano il Credito Mobiliare e la Banca Generale, inducendo alla riforma Giolitti che istituisce, nell’agosto 1893, la Banca d’Italia.
In quello scandalo si possono già individuare tutti i meccanismi delle attuali crisi finanziarie. 
È chiara ad es. l’analogia – seppure su scala minore – con la questione dei mutui subprime in USA e della bolla immobiliare che ha innescato nel 2007 la grande crisi che stiamo ancora vivendo. La Banca Romana fu infatti tra le prime ad approfittare dell’ondata di speculazione edilizia che interessò Roma e altre città d’Italia tra il 1889 e il 1893, concedendo crediti facili alle imprese del settore edile e gonfiando paurosamente la circolazione cartacea, anche falsificata. 
Ci sono poi i risvolti “noir” del febbraio 1893, come l’assassinio dell’ex direttore del Banco di Sicilia Emanuele Notarbartolo e la morte misteriosa di Rocco De Zerbi, membro della Commissione della Camera sul riordinamento bancario. Scie di sangue accessorie agli scandali, ricorrenti nei decenni: basti pensare al caso Calvi e al “suicidio” di David Rossi del MPS.
Anche all’epoca, buona parte della circolazione “drogata” fu utilizzata per prestiti a politici e burocrati di Stato.
E già nel 1888 gli interventi governativi avevano salvato la Banca Tiberina e il Banco Sconto e Sete, che avevano fatto speculazioni imprudenti e falsificato le banconote in circolazione. 
Insomma: truffe e ruberie dei politicanti, omicidi, crisi monetaria e ripianamento delle perdite da parte dei contribuenti. Esattamente come oggi.
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Qual è la morale della favola?
Che non bisogna farsi abbindolare, come al solito. Gli statalisti fanno leva sulla paura del “rischio sistemico”: non si possono trattare le banche come le altre imprese facendole fallire (“too big to fail”), per paura delle conseguenti file ai bancomat e del contagio del sistema economico reale. Per loro, bisogna aumentare sempre di più il potere e i controlli dello Stato, e dunque il dirigismo. 
Però la Storia non insegna nulla e qui si ripete sempre più in grande; e non hanno un piano B.
Ma sappiamo bene che il piano B non esiste e il piano A non funziona. Perché in queste situazioni cicliche, come in ogni questione economica, lo Stato non è la soluzione, ma è la causa dei problemi: il solo piano che funzioni è dunque quello che tenga fuori la politica e il suo potere corruttivo dall’economia, reale e finanziaria.

Luca Maria Blasi

Avvocato cassazionista e Dottore commercialista titolare di Studio. Giudice tributario.

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