DESOVIETIZZARE L’ URBANISTICA ITALIANA

La proprietà fondiaria è il diritto più compresso che esista. Il regime dei suoli in Italia rappresenta infatti la punta avanzata del socialismo reale nostrano: anche nella terminologia utilizzata, dove il Piano formato dalla pubblica amministrazione (declinato in mille modi, a partire dal Piano Regolatore generale: P.T.C., P.T.P., P.P.E., P.U.A., P.U.P., P.A.M.A., P.R.U.S.S.T, ecc.ecc. ) decide dove e cosa poter fare sui terreni di proprietà dei privati.

Inutile dire che il “merito” di tutto questo vada al regime illiberale fascista, che con la legge urbanistica n. 1150 del 1942 introdusse l’obbligo del PRG, nel senso inteso attualmente. Curiosamente anche in questo caso, come in troppi altri, con la Costituzione repubblicana non ci fu alcuna soluzione di continuità politica rispetto alla dittatura precedente.

Anzi, si registrò un crescendo di interventismo, culminato nella famigerata legge Bucalossi (n.10 del 1977) che – in linea con il clima politico di quel decennio “rosso” – introdusse addirittura il concetto di concessione edilizia, sottintendendo che il diritto di edificare fosse stato (in via surrettizia e generale) espropriato ai titolari dei suoli, ai quali la PA poteva poi graziosamente concederlo (previo pagamento di salati oneri concessori, s’intende). Poco è cambiato, da allora.

Sì, la Corte costituzionale ha precisato – bontà sua – che il diritto di edificare permane in capo al titolare del diritto di proprietà; ma che comunque, in sostanza, il suo concreto esercizio resta soggetto ad autorizzazione (oggi permesso). Gli interventi del periodo berlusconiano, come spesso accaduto, si sono poi tradotti in liberalizzazioni di facciata.

Resta il fatto che, ancora oggi, il proprietario di un suolo che voglia costruire la sua casa o avviare un’attività produttiva previa edificazione NON È LIBERO DI FARE CIÒ CHE VUOLE, ma deve assoggettarsi alle disposizioni di un Piano regolatore pletorico e cervellotico, così complesso che, il più delle volte i dipendenti addetti, per ignavia o per intento concussivo, lo interpretano restrittivamente. Se poi si aggiunge l’orientamento politico pregiudizialmente ostile al “privato”, la paralisi è assicurata. Non si può fare niente. Al di là della questione politica dell’illiberalità della normativa, in evidente conflitto con i diritti umani (il diritto di libera impresa lo è), qualcuno dovrebbe prendersi la briga di calcolare quanto costi, in termini di PIL, questa zavorra.

Desovietizzare il regime dei suoli, smantellando il sistema dirigista sul quale è fondato, porterebbe infatti a un rilancio possente dell’economia e dell’occupazione. Con l’effetto collaterale interessante di ridurre drasticamente i fenomeni concussivi e corruttivi nella PA. Perciò, la liberalizzazione del regime dei suoli sarà uno degli interventi di riforma che propugneremo con forza.

Luca Maria Blasi

Avvocato cassazionista e Dottore commercialista titolare di Studio. Giudice tributario.

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