Migrazioni: opacità e colpe

Purtroppo fa parte delle nostre radici giudaico cristiane – innestate dalla retorica marxista –  nutrire (immotivati) sensi di colpa per le disgrazie altrui. Così chi sta meglio è responsabile, se c’é chi sta peggio. Chi é “ricco” ha, necessariamente, depredato il povero etc etc. Anche sfruttare-sfruttamento ha assunto, quasi solo, un’accezione negativa. Mentre, in origine, voleva dire, principalmente, far fruttare o usare razionalmente un bene, una risorsa. L’Africa é povera è l’Europa é ricca. Vogliamo sostenere che l’Occidente paghi poco gli idrocarburi estratti nell’altra sponda del Mediterraneo? In realtà, quantità e prezzo del petrolio sono fortemente influenzati dal cartello degli stessi paesi produttori, come ricorderà chi era in Italia ai tempi delle crisi energetiche. Avere il petrolio e non esportarlo ai paesi industrializzati non rende più ricchi i paesi produttori. Si veda il caso del Venezuela, dove un pieno di benzina non compra un chilo di pane. Per quanto riguarda il metano, la leva negoziale dei produttori, che  possono  semplicemente chiudere i gasdotti per esercitare pressioni, anche di tipo strategico-politico, sui paesi importatori, è enorme. Analoghe considerazioni per le altre risorse naturali.  Non é il colonialismo o il – presunto – neocolonialismo il male che affligge oggi i paesi nord africani (come ripete il refrain di molti nostalgici marxisti) e che ha provocato, o provoca, la gravissima crisi migratoria di questi anni. Semmai, lo stolido entusiasmo di chi, in Occidente, ha creduto di vedere nelle primavere arabe il principio di un processo di sviluppo, in senso  democratico, di quei paesi. E le ha incoraggiate. Quando invece – come dimostrato dagli eventi successivi – quei movimenti hanno prodotto gravi fratture sociali e crisi economica oltre a fornire fertile terreno per la diffusione dell’integralismo. In questo quadro si innesta la forte pressione migratoria verso l’Europa. Fenomeno, per troppi anni, assecondato dai governi di origine, o di partenza, dei migranti (e di alcuni di arrivo, inclusi, vari, precedenti nostri) e divenuto un motore di facile arricchimento per schiavisti e trafficanti. Oltre che, in tanti casi, un lucroso business per i professionisti dell’accoglienza in Italia e in Europa. Restiamo tutti sconvolti dalle periodiche notizie delle morti in mare, come quella avvenuta, a metà Gennaio, a qualche decina di miglia dalla Libia. Tra le vittime alcune donne e, forse, bambini. Momenti di dolore e sgomento ai quali non ci abitueremo mai.Nella ricostruzione diffusa dai Media  ci sono, però, alcuni elementi che inducono a riflessione sulle cause, possibilmente dolose, di questa recente tragedia. Ecco il primo: i migranti deceduti, che per la maggior parte non sapevano nuotare, non indossavano i giubbotti salvagente (a differenza di quella che sembra una “dotazione standard”, fornita dai trafficanti ai migranti, per affrontare la traversata). Punto secondo: il gommone naufragato era talmente malandato che non ha retto nemmeno alla  navigazione per uscire dall’area di competenza libica e in acque che non sembravano, neppure, agitate.Punto terzo: a seguito delle note vicende, il tratto di mare prospiciente la Libia, non era più presidiato, come un tempo, dalle flotte di soccorritori delle controverse ONG. Mentre le marine militari e le guardie costiere dei paesi rivieraschi avevano iniziato ad attenersi alla stretta competenza di soccorso delle rispettive zone SAR. Da mesi, ormai, non si sente più parlare di sospetti rendez vous in mare tra trafficanti e soccorritori. Episodi, già, al centro di inchieste giudiziarie. La via dell’ingresso dei migranti irregolari in Europa diventa sempre più stretta nonostante le – più rumorose che numerose – voci di protesta di chi vorrebbe allentare le politiche di accoglienza nel vecchio continente.Tutto questo, i trafficanti, grazie ai canali di informazioni delle proprie reti di basisti e fiancheggiatori (anche nel nostro paese) lo sanno benissimo. E, nonostante la dovizia di mezzi economici, generati dagli enormi proventi della tratta, questi criminali senza scrupoli, non hanno indugiato a imbarcare su una bagnarola, senza dotazioni di sicurezza, un centinaio di migranti. Mandandoli incontro a sicuro naufragio. Perché? Forse la risposta si può trovare nelle reazioni che la tragedia ha provocato in Europa (più in Italia che altrove…): si è rinfocolata la polemica sulla chiusura dei porti che sembrava perdere abbrivio e adepti; si sono trovati nuovi argomenti per delegittimare le operazioni di soccorso di competenza della Libia; rialzano i toni i no border che vorrebbero far sbiadire la distinzione tra rifugiati e migranti economici. Ovviamente, in tutto questo, i migranti sono, spesso, le vittime, usate strumentalmente, per continuare ad alimentare il lucroso business del traffico umano. É ovvio che accogliere chiunque arrivi per questa via, non frena, ma incentiva il fenomeno dell’immigrazione clandestina e riempie, ancor di più, le tasche di chi pratica la tratta e gestisce il racket dello sfruttamento dei migranti. Per questo bisogna contrastare con ogni mezzo la narrazione distorta del fenomeno migratorio che, spesso, accomuna soccorritori e trafficanti. Per questo é importante che proprio i migranti salvati dal naufragio siano tra i primi ad essere rimpatriati (ove non gli sia riconosciuto lo status di rifugiato) perchè possano testimoniare ai propri connazionali i rischi del percorso scelto e smentire le false promesse e illusioni, diffuse, ad arte, dai trafficanti per adescare nuove potenziali vittime di questo vergognoso commercio di esseri umani. Quella occorsa a Gennaio, non è la prima e non sarà l’ultima tragedia in mare, perché il “ricatto”, ad opera dei trafficanti e di chi lucra sul ricco business dell’accoglienza, continuerà con l’obiettivo di fiaccare la resistenza di chi si oppone alla tratta umana e all’immigrazione incontrollata. Non è abbattendo i confini europei che si risolverà il problema delle migrazioni dall’Africa, ma affrontando, senza bardature ideologiche, le sue cause e i suoi sintomi. Non è deflettendo dal rispetto delle nostre leggi, in materia di immigrazione e di concessione dello status di rifugiato, che si costruirà un sistema più giusto e più sicuro. Non é continuando a considerare il fenomeno del traffico di migranti come un’astrazione senza volto – o una “condonabile devianza”, dovuta a stato di necessità – ma una realtà che muove immensi capitali e finanzia, ancor più pericolosi, traffici, sfruttamento e movimenti terroristici. Chi critica, oggi, il blocco dei porti ai migranti dimentica che fu un altro blocco, quello dei beni del rapito, che permise di debellare l’industria dei sequestri di persona in Italia. Per quanto riguarda i rapporti internazionali occorre agire su due fronti: collaborando, con un sistema di incentivi economici,  con i paesi di origine, per scoraggiare le partenze, contrastando la narrazione dei mercanti di morte che offrono, a caro prezzo, l’imbarco sulle carrette del mare e per assicurare le riammissioni in patria di chi non ha titolo allo status di rifugiato. E, soprattutto, aprendo un fronte comune, con gli altri paesi europei, per dare priorità al contrasto e alla repressione – attraverso la dotazione di risorse e la costituzione di forze di polizia dedicate – del traffico di migranti che si qualifica, alla pari dello schiavismo, come uno tra i più insidiosi e odiosi crimini contro l’umanità. 

Raffaello Savarese

Migrazioni: Opacità e Colpe.

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